La maschera nuda della follia
"E io passo per pazzo perché voglio vivere là, in un fresco breve stupore di sogno vivo, luminoso; là, fuori d’ogni traccia solita, d’ogni consuetudine, libero di tutte le vecchie apparenze, con il respiro sempre nuovo e largo tra cose sempre nuove e vive”
La maschera nuda della follia è il nuovo copione di Antonio Luca Cuddè, tradotto dalla tradita materia pirandelliana.
Muovendo dall’archetipo di Enrico IV l’autore esplora la corrente della follia nel maestoso fiume del pirandellismo. Il flusso di pensiero, il lungo monologo interiore del protagonista sono l’architrave dell’opera.
La chiamata alla correità, il pensiero politicamente scorretto, rivolti agli altri personaggi e a tutto il pubblico, la sua missione morale ed etica.
Non c’è traccia sulla pagina della follia “neurologica”. Chi sono allora i folli pirandelliani? Enrico IV assume la follia come atteggiamento filosofico, votato a una ricerca d’autenticità lucida e senza compromessi, fuori da ruoli e convenzioni, martire di una ricerca, spesso frustrata, d’assoluto e di verità che ha intravisto in alcuni momenti privilegiati di “silenzio interiore”. La pazzia, allora, è la produttrice di quel surplus di coscienza che scardina i parametri sotto cui è convenzionalmente inquadrata la realtà: opinione e senso comune. Non è pertanto irrazionale, come comunemente si crede, il comportamento del folle, ma l’agire quotidiano, nella misura in cui si sono persi di vista i fini che dovrebbero regolarlo. Lo sguardo del folle è lo strumento ed il pretesto per insinuare il dubbio legittimo sull’assoluto relativismo dei giudizi e sulla consistenza “volubile” della realtà oggettiva.