Nebbia
L’Atto unico, scritto nel 1995 dal poeta e drammaturgo Renzo Ricchi, prevede due soli personaggi in scena: un uomo e una donna (la “Mosca”), tra i quali si genera una particolarissima interazione soltanto in parte cercata e cosciente. Il primo interlocutore è per entrambi se stesso: ognuno dei due personaggi dichiara il proprio male di vivere, il disagio nei confronti del tentativo di comunicare con il mondo, l’incapacità di trovare una direzione e un senso. Per entrambi la propria sofferenza mette ai margini quella altrui e diviene unica protagonista della scena; per l’uomo è la condizione umana a non avere un centro, invidiando la consolante semplicità della vita di una mosca, per la mosca è il genere umano a essere il privilegiato detentore di una rassicurante e protetta esistenza. Eppure, in questa polifonia di voci contrastanti che parlano del medesimo dolore riuscendo solo a tratti, faticosamente, a entrare in relazione tra di loro, ci sono tracce evidenti di ironia, di gioco, di ricerca di una leggerezza che conduce a istanti di gustosa comicità, che si incarna in particolar modo nei guitti mimici ed espressivi della mosca e nella continua contraddizione intellettuale dell’uomo. Tutto ciò prende vita all’interno della casa dell’uomo dove la mosca si è rifugiata per sfuggire alla rigidità dell’inverno e all’impenetrabilità della nebbia; ma lo stesso spazio può e deve essere inteso anche come uno “spazio della mente” entro cui si animano i pensieri e le emozioni dei due personaggi, che cercano riparo dalla “nebbia” (che pervade il mondo e gli uomini), che sta fuori dalla finestra ma che inevitabilmente contamina le anime ed impedisce loro di “vedere” la vita serenamente.