Un dialogo in un atto che appartiene al miglior teatro pirandelliano.
L’abilità dialettica del grande autore siciliano, oscillante tra virtuosismo e poesia, crea
un’atmosfera rarefatta in cui il protagonista, sentendo ormai prossima la fine,
dimentica se stesso e la propria sorte per vivere e analizzare ogni sensazione
come se fosse l’ultima.
La tensione drammatica non riguarda tanto l’esito del dialogo quanto il suo svolgimento, e la situazione procede secondo la dialettica del paradosso.
Una lunga riflessione condotta continuamente sul filo della morte che si trasforma lentamente nel suo contrario: un magnifico inno alla gioia e alla bellezza del vivere.
Trattando “il grande teatro di parola” proponiamo, con ogni volontà, la massima discrezione e sobrietà, suggerendo due semplici riflessioni.
La prima di carattere formale: anche se spesso ha a che fare col quotidiano, in virtù
della sua costruzione sintattica, la parola pirandelliana non è mai naturalistica. Il
suono della fonazione, mutuato dalla gergalità siciliana, sprigiona tutta la forza
evocativa dell’eloquio e dei suoi infiniti riflessi. Il linguaggio è molto simile a quello
che si potrebbe definire un “naturalismo-poetico”.
La seconda di carattere interpretativo: leggere la parabola dei due protagonisti come il dramma della consapevolezza e prosciugarlo quindi di ogni traccia di compatimento.